Tutti i metodi per prevedere un terremoto (e perché ancora non funzionano)
Per capire se veramente esiste un metodo sicuro ed efficace
per prevedere i terremoti in Italia e nel resto del mondo abbiamo analizzato
uno scritto pubblicato da Giovanni Bignami, scienziato e divulgatore. Grazie alla
sua splendida carriera da fisico crediamo che sia d’obbligo spendere qualche
parola in più per presentare questo studioso. Professore di astronomia presso l’Istituto
Universitario di Studi Superiori di Pavia, fa ricerca in astrofisica e spazio
sia in Italia che all’esterno lavorando all’organizzazione di numerose missioni
spaziali. Accademico dei Lincei e membro dell’Accademia di Francia, è tra gli
scienziati più autorevoli nella ricerca astrofisica e spaziale. Dal 2007 al
2008 è stato Presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana. Nel luglio 2010 è stato
eletto, primo italiano, presidente del Cospar, il comitato mondiale della
ricerca spaziale. Dall’agosto 2011 è Presidente dell’Istituto Nazionale di
Astrofisica. E’ molto attivo nella divulgazione con libri, articoli, conferenze
e programmi televisivi regalandoci così questa sua interpretazione dei fenomeni
sismici.
Incredibile, ma vero (e anche crudele, in questi giorni). Se
non ci fossero i terremoti, non ci sarebbe vita sulla Terra. Il nostro pianeta
è una palla calda dentro, con un nucleo che è fuso, in parte grazie al calore
originale di formazione, 4,65 miliardi di anni fa, in parte per il decadimento
di pesanti nuclei radioattivi, come uranio o torio, pian piano affondati verso
il centro.
La combinazione di termodinamica e gravità fa il resto. Dal
centro, il materiale caldo viene verso la superficie e fa muovere i pezzi di
crosta superficiale. Anche se simile, questa “tettonica a zolle” è complicata
da capire a causa della presenza di forti disomogeneità di composizione, della
rotazione terrestre, del campo magnetico e così via. C’è voluto del tempo per
arrivarci.
La chiave fu l’osservazione della carta geografica per le
due rive dell’Atlantico a sud dell’equatore. L’incastro perfetto dei profili
costieri, orientale per l’America del Sud ed occidentale per l’Africa, suggerì
la teoria della deriva dei continenti, confermata e accettata solo da poco più
di mezzo secolo. Sì, i continenti, o meglio, le placche continentali, le
“zolle“, spinte da sotto, si muovono e, inevitabilmente, finiscono per scontrarsi.
Così nascono le catene di montagne, dalle Alpi all’Himalaya, mentre dalle
spaccature tra le placche sale il caldo che c’è dentro, cioè i vulcani, di
solito allineati in lunghe file, come intorno alla costa orientale dell’Asia.
È il materiale che sale dal profondo a portare in superficie
sempre nuovi elementi, ancora vergini di interazioni con l’atmosfera e con la
biosfera, pronti a rinnovare il parco di nutrienti disponibili, anche per noi.
Questo meccanismo non solo spiega perché il vino dell’Etna (per esempio), fatto
da vigne radicate nella lava, è così buono. Più in generale, si può calcolare
che se la tettonica a zolle, con i suoi moti convettivi dal profondo, si
fermasse anche solo per dieci milioni di anni, scomparirebbe per “fame” ogni
forma di vita sulla Terra. Grazie tettonica.
Ma sono i moti del materiale terrestre vicino alla
superficie (diciamo 100 km ,
contro i 6300 circa del raggio terrestre) a generare le tensioni e le spinte
all’origine dei terremoti. Purtroppo, al nostro pianeta non interessa niente di
quei pochi atomi di vita sulla sua superficie, né che i suoi normali
assestamenti geofisici distruggano qualcuno di quegli esserini e tutto quello
che hanno costruito. Maledetta tettonica? No, la vita del nostro pianeta
continuerà indisturbata per miliardi di anni e con lei la tettonica, almeno
finché ci sarà abbastanza calore all’interno.
Invece su Marte, per
esempio, che è più piccolo della Terra, il raffreddamento è più avanzato, non
ci sono più vulcani attivi, ci sono pochissimi terremoti e la vita, se c’è
stata, è probabilmente estinta.
Per noi implumi bipedi terrestri la chiave è proprio la
geofisica. Dobbiamo studiare a fondo la fisica della Terra ed arrivare, se non
a controllare (impossibile sul piano energetico), almeno a predire dove e
quando avverranno i terremoti. È un po’ come il caso del clima atmosferico, una
storia di successo: non riusciamo ancora a controllarlo, ma sappiamo dire
abbastanza bene dove e quando pioverà. E se da decenni abbiamo previsioni più
precise di quelle dei calli del nonno è perché abbiamo studiato la fisica della
atmosfera dallo spazio.
Per la geofisica, un primo aiuto molto importante viene,
guarda un po’, dalla astronomia. Le stelle, e le galassie, lontanissime, stanno
a guardare quello che succede sulla Terra ma forniscono un utile punto di
riferimento. Puntando la stessa galassia nello stesso momento con due speciali
telescopi radio sulla Terra, lontanissimi tra di loro, ed usando la posizione
della galassia come punto di riferimento, una tecnica astronomica ad hoc
permette di misurare con altissima precisione le posizioni relative dei due
strumenti. Ripetendo l’osservazione, si misura il moto delle placche sulle
quali sono costruiti i radiotelescopi, con una precisione di pochi millimetri
all’anno.
In Italia, per esempio, l’INAF (Istituto Nazionale di
Astrofisica) ha un radiotelescopio a Noto, nel sud della Sicilia, che,
lavorando con altri strumenti, misura il moto della placca Africana che spinge
contro quella Europea (“il continente”), al ritmo di un centimetro all’anno. È
evidente come una rete di strumenti del genere permetta di mappare sulla Terra
i punti di massimo stress, cioè quelli dove i terremoti sono più probabili.
Esistono anche altri metodi di indagine diretta e più localizzata per la mappatura
del sottosuolo in profondità, con carte tridimensionali sotterranee disponibili
praticamente per tutta l’Italia.
Ma se così riusciamo ad avere una idea abbastanza precisa di
dove i terremoti possano avvenire con maggiore probabilità, anche se sempre di
probabilità si tratta, molto, ma molto più difficile è prevedere quando il
terremoto colpirà. Qui brancoliamo nel buio, dal medioevo all’era spaziale.
A parte i cani che ululano o i gatti che scappano, segnali
dubbi e comunque non tali da permettere l’evacuazione di una città, in Cina (e
forse non solo) da sempre si usa osservare la variazione di livello dell’acqua
nei pozzi. In fondo, data una rete abbastanza grande ed abbastanza affidabile
di osservazioni contemporanee, un minimo di fondamento il metodo ce l’ha, ma
proprio un minimo se pensiamo alla profondità dei pozzi (pochi metri), alla
profondità media degli eventi sismici (molti chilometri), alle variazioni della
composizione del terreno, piogge, ecc. Non ci sono comunque prove, da Marco
Polo in poi, che il metodo abbia mai funzionato.
Leggermente più scientifico è il metodo delle fughe di
radon, che creò inutili polemiche dopo il terremoto dell’Aquila del 2009. Il
radon è un gas pesante e radioattivo e per questo facilmente rivelabile.
Intrappolato, anche in profondità, nelle rocce, talvolta sfugge attraverso
fessure, ed è, tra l’altro, potenzialmente pericoloso in alte concentrazioni.
Un aumento significativo e localizzato della emissione superficiale di radon
potrebbe far pensare a spostamenti profondi della roccia, potenziali prodromi
di un terremoto. Anche qui, non ci sono prove definitive che il metodo
funzioni.
Il metodo “spaziale” è dovuto, in origine, alla fantasia di
fisici russi, e riguarda il campo magnetico terrestre che, naturalmente, permea
tutte le rocce, dalla superficie in giù. Una variazione improvvisa e
localizzata del campo magnetico potrebbe, anche lui, far pensare a movimenti
sotterranei. Solo che per rivelare variazioni, magari piccole ma improvvise,
del campo magnetico, i fisici hanno pensato di osservarle quando sono
amplificate, cioè nello spazio. Il campo magnetico, uscito dalla superficie,
crea una specie di sfera protettiva intorno al pianeta (un altro dei fattori
che permettono la vita sulla Terra). Nella bolla magnetica che ci contiene
vengono anche “intrappolate” particelle cariche, per esempio elettroni, che
passavano di lì. Ebbene, se varia il campo profondo, ancora di più varia quello
nello spazio, a centinaia di chilometri da terra e varia quindi la quantità di
particelle intrappolate, che sappiamo rivelare molto bene, in linea di
principio, dato il satellite giusto, al posto giusto, nel momento giusto.
Fu un incubo, all’Agenzia Spaziale Italiana, cercare di
capire, qualche anno fa, se questa idea fosse una genialità o una bufala. Alla
fine, fatti alcuni tentativi, si capì che no, non avevamo in mano il modo
sicuro di prevedere i terremoti, neanche lontanamente. A parte la fisica, che è
giusta in teoria, sono troppe le difficoltà pratiche di misura ed
interpretazione. Anche qui, nessun risultato concreto.
In un altro modo, dallo spazio abbiamo risultati molto
concreti, invece, sugli effetti dei terremoti. Con l’osservazione della Terra
con speciali radar orbitanti, per esempio, sempre dall’ASI sono venute mappe
chiare e molto precise dello spostamento del terreno dopo gli eventi
dell’Aquila e di quello recente in Emilia. Osservazioni utilissime per l’interpretazione
del sisma e molto altro, ma non previsioni. L’unica interessante eccezione è
l’osservazione, con questo metodo, del profilo altimetrico dei vulcani: prima
di una eruzione, per esempio, l’altezza dell’Etna aumenta fino a tre
centimetri. Misura impossibile da fare da Terra, ma possibile dallo spazio e
perfettamente correlata con le eruzioni.
Prevedere una eruzione di un vulcano è certo molto più
facile che prevedere un terremoto nel tempo in un punto qualunque della Terra
(compresi i terremoti sottomarini che poi fanno gli tsunami), ma forse il
metodo spaziale è degno di attenzione.
Studi probabilistici sulla previsione del terremoto de L'Aquila
Segue un breve video che propone altre interpretazioni da parte di scienziati e ricercatori sulla prevedibilità del terremoto de L'Aquila.
Fonte:
http://www.youtube.com/watch?v=yC35ae49j8A&noredirect=1
Radon, maree e pianeti
Radon, maree, pianeti: sull’argomento della previsione di un
terremoto le ricerche sono tantissime, ma poche riportano argomenti validi dal
punto di vista scientifico. Oggi è possibile farne una rassegna, segnalandone
opportunità e difetti.
La sedicente teoria di Raffaele Bendandi propone l’esistenza
di un legame tra terremoti e allineamento dei pianeti, secondo cui «il sisma
avviene quando nel giro mensile di una rivoluzione lunare l’azione del nostro
satellite va a sommarsi a quella degli altri pianeti».
Ma, anche se in linea di principio tutti i pianeti del
Sistema Solare esercitano un’influenza gravitazionale sulla Terra, le energie
in gioco sono troppo piccole per riuscire a scatenare terremoti. Anche la
teoria sulla correlazione tra maree e terremoti è molto debole. In questo caso
le forze prodotte dalle maree terrestri sono di solito di piccola entità e
risulta difficile calcolare le variazioni necessarie alla produzione di
fratture sismiche. Per quanto riguarda invece gli studi sulle fuoriuscite di
gas radon per predire i terremoti siamo ancora ben lontani dall’avere un metodo
di previsione. La ricerca ha infatti trovato in alcuni casi correlazioni
significative e in altri no.
Più valida sembra essere la teoria, sostenuta da ricercatori
dell’Università del Michigan, secondo cui i terremoti possono essere
«contagiosi».
In pratica, gli studiosi sono convinti che i grandi
terremoti in una faglia potrebbero aumentare lo stress in quelle collegate,
rendendole più suscettibili di creare un altro evento. «C’è ancora tanto da fare
– conclude Boschi – per cui al momento l’unica soluzione praticabile riguarda
la prevenzione».
Fonte:
http://www.giornalettismo.com/archives/337494/il-terremoto-si-puo-prevedere/
I terremoti si possono prevedere? Per un sismologo dell’università di Trieste “sì, ma non con precisione”
I terremoti si possono prevedere? E’ una domanda che ripetiamo e che ci ripetiamo sempre ogni volta che la nostra civiltà viene scossa da un sisma; ad oggi la comunita’ scientifica, che da anni si sta interrogando sul problema e che si rende conto di quanto la soluzione sia ancora molto lontana, resta convinta che è impossibile prevedere i terremoti. Di modelli di previsione ne esistono tantissimi. Sono 180, per esempio, quelli all’esame della collaborazione internazionale Csep (Collaboratory for the Study of Earthquake Predictability), una sorta di supervisore delle ricerche condotte in tutto il mondo sul problema della previsione. ”Usare il termine previsione non significa riferirsi alla possibilita’, calcolata al 100%, che un terremoto accada in un dato luogo in un tempo determinato”, ha spiegato il sismologo Warner Marzocchi, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e membro del Csep. Dei modelli di questo tipo, ad esempio, fa parte quello elaborato dal sismologo Giuliano Panza, dell’universita’ di Trieste e del Centro internazionale di fisica teorica (Ictp) di Trieste. ”I terremoti si possono prevedere, ma non con precisione. Siamo in una fase iniziale di una ricerca molto seria”, ha detto Panza. ”Finora- ha aggiunto – si diceva che i terremoti non si possono prevedere e basta, ma questo non e’ giusto. Non si arrivera’ mai a prevedere un terremoto a livello di allarme rosso, pero’ puo’ aiutare l’attivita’ di prevenzione”. Affermazioni che destano perplessita’ in molta parte della comunita’ scientifica, a partire dallo stesso Ictp: sono studi che ”non hanno valenza ufficiale di previsione e di servizio, ma sono il risultato di ricerca scientifica, il cui obiettivo è quello di migliorare la conoscenza dei terremoti”, ha osservato il direttore del Centro, Fernando Quevedo. Modelli come quello proposto da Panza ”considerano aree molto estese e intervalli di tempo prolungati”, ha spiegato Marzocchi. Per esempio, la previsione di un terremoto nel Nord si riferisce, secondo il modello, ad un’area che si estende dalla Slovenia alla Liguria, fino al Lazio, e il periodo considerato e’ di sei mesi. La previsione di un terremoto al Sud riguarda invece l’area che dalla Sicilia comprende Calabria, Basilicata e Appennino meridionale fino al confine tra Lazio e Campania. ”E‘ modello noto da 20 anni e finora non e’ stato preso in considerazione in nessuna parte del mondo a fini operativi”, ha rilevato Marzocchi. ”Attualmente – ha concluso – non esistono modelli di previsione a breve termine e in grado di prevedere con precisione un evento in una data zona”.
Fonte:
http://www.meteoweb.eu/2012/05/i-terremoti-si-possono-prevedere-per-un-sismologo-delluniversita-di-trieste-si-ma-non-con-precisione/135154/
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